BRANDED CONTENT: I BRAND ALLA CONQUISTA DELLE LORO AUDIENCE. INTERVISTA A JACOPO MORINI
Come confermato dalla ricerca dell’Osseravtorio Social Tv 2016, il consumo di contenuti video si è espanso in luoghi e tempi fino a qualche anno fa impensabili per la televisione. Se questo ha agito da stimolo per i broadcaster, che appaiono sempre più determinati ad individuare nuove strategie di engagement per i propri pubblici, altrettanto sta accadendo nel mondo dei brand, oggi sempre più impegnati a interpretare i consumatori come audience da coinvolgere. In particolare le strategie di branded content oggi mirano ad adottare pratiche e strategie comunicative nuove, aperte alle opportunità offerte dalla contaminazione tra TV e web. I brand, quindi, sono di fronte a un cambio di paradigma importante.
Su quali siano i cambiamenti introdotti dal branded content e quali le migliori strategie da adottare ne abbiamo parlato con Jacopo Morini, direttore creativo TDH Armando Testa.
Jacopo Morini è stato uno dei relatori al convegno “TV intorno. Tecnologie, setting, rituali e bisogni per un’esperienza di consumo espansa” che si è tenuto il 16 maggio 2017 al MAXXI – Museo Nazionale delle Arti del XXI Secolo.
Dalla tua esperienza, nata sul web come creatore di contenuti, come pensi si possa interpretare il legame che si è instaurato e che continua a rafforzarsi tra il web e la televisione dal punto di vista del contenuto pubblicitario?
Oggi i brand hanno l’opportunità di diventare editori di contenuti originali e propri, e per farlo possono scegliere tra diversi linguaggi tra cui anche quello video nelle sue varie forme: dalle web series alla televisione. Il branded content, infatti, ha un potenziale di intrattenimento che performa non solo sul web e sui social media, ma anche in TV.
L’obiettivo del contenuto pubblicitario, quindi, non è più quello di presentare soltanto un prodotto da vendere, ma quello di costruirci intorno dell’intrattenimento, magari divertente, dove però il prodotto mantiene un ruolo centrale. In questo modo il brand riesce a vendere dando in cambio un contenuto interessante e di qualità che può essere, per esempio, una risata o un racconto di qualcosa che il cliente prima non sapeva. Così facendo i brand riescono a offrire alle loro audience un’esperienza arricchita che non si conclude e non si riassume nell’acquisto del prodotto.
Oggi i brand sono quindi chiamati a diventare editori e a creare contenuti. Quali sono le strategie che potrebbero adottare per rispondere con successo a questa nuova necessità?
Devono senz’altro utilizzare i loro social come se fossero dei palchi, come se fossero un loro piccolo teatro dove possono e devono far succedere qualcosa perché questi teatri sono pieni di persone, come se avessero un’audience. I brand, quindi, devono arricchire il loro modo di comunicare. Se prima una pubblicità televisiva veniva pianificata una tantum e poi si aspettava la stagione successiva, oggi i brand possono parlare tutti i giorni con il mondo che li può ascoltare sulla rete. Possono avere l’opportunità di trovare nuovi clienti, diventando evidentemente rilevanti. Quindi il mio consiglio è: utilizzare in primo luogo i canali social nel migliore dei modi strutturati secondo piani editoriali con una sequenza di contenuti settimanali saggiamente alternati tra post di prodotto e post rilevanti, interessanti, divertenti, capaci di creare veramente non più un rapporto tra brand e cliente, ma tra il brand e la sua community interattiva e propositiva. Il brand deve diventare un love brand: qualcosa in cui mi ci ritrovo, mi piace, devo capire che in qualche modo mi sta comunicando qualcosa che intercetta i miei gusti, il mio stile di vita, i miei valori.
Dato questo nuovo panorama che si presenta di fronte ai brand i linguaggi del branded content negli ultimi anni come si sono sviluppati ed evoluti?
I linguaggi sono cambiati senz’altro in termini di tono di voce. Una volta il brand si faceva dare forse un po’ più del ‘Lei’ e oggi si fa dare del ‘Tu’. Una volta poiché c’erano solo la TV, la radio, l’affissione per parlare con i potenziali consumatori era un po’ più distante e raccontava qualcosa del suo prodotto in modo più passivo, senza una risposta da parte dei clienti. Oggi invece si costruisce una forma di dialogo: non ti dico più qualcosa che tu devi ascoltare ma io e te dialoghiamo e tu, proprio in quanto consumatore, mi puoi dare dei consigli, puoi addirittura criticarmi, in un processo costruttivo per migliorare il mio prodotto.