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LA NUOVA CENTRALITÀ TELEVISIVA. SCHERMI, CONTENUTI E PRATICHE DELLE AUDIENCE CONNESSE. INTERVISTA A ANTHONY CARDAMONE

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Con la diffusione dei second screen cambia radicalmente l’esperienza di fruizione televisiva e si impone per la comunicazione pubblicitaria una ripianificazione del proprio modello strategico e di ricerca. Anthony Cardamone – Head of Research di Omnicom Media Group – ci ha parlato di queste nuove sfide.

Anthony Cardamone è intervenuto al convegno “La nuova centralità televisiva. Schermi, contenuti, pratiche delle audience connesse”, che si è tenuto al MAXXI – Museo Nazionale delle Arti del XXI Secolo, il 30 Marzo 2016 – all’interno del panel “Circolazione: La vita digitale dei contenuti televisivi”.

 

La moltiplicazione dei device personali ha portato da una parte alla diversificazione delle pratiche di consumo televisivo, rendendo la tv realmente una tv anytime anywhere; dall’altra, ha portato all’affermazione del multiscreening, ovvero all’uso simultaneo di altri dispositivi tecnologici durante la visione dei contenuti tv. Quanto incidono queste trasformazioni nella definizione delle strategie pubblicitarie destinate alla programmazione televisiva?

Effettivamente incidono in modo molto forte. In particolare, negli ultimi 4-5 anni si è registrata un’accelerazione nel numero di persone che usano dispositivi diversi davanti al televisore. Ma non è una modalità inedita: anche anni fa davanti alla tv gli utenti interagivano con qualcosa: un libro, un giornale o altre cose. La differenza sta nel fatto che il libro o il giornale non erano sistemi audio-visivi, come invece lo sono uno smartphone, un tablet o un computer. I vecchi media avevano un effetto di compagnia davanti al televisore mentre oggi questi dispositivi sono molto più attraenti dal punto di vista del consumo, coinvolgendo le audience al pari della tv, che è anch’essa audio-visiva.

È importante  dividere l’utilizzo di questi device in media meshing e media stacking. Quando si utilizza un second screen  per approfondire o per sviluppare quello che si vede in tv, in quel caso si ha un’estensione del prodotto televisivo. Quando invece lo si utilizza per altri scopi, per esempio chattare o navigare su altri siti, rappresenta una distrazione.

La nostra strategia dal punto di vista pubblicitario è quella di cercare, nel caso del media meshing, di sviluppare tutta la potenzialità che si può avere con questi dispositivi di second screen, anche cercando di capire, in sincrono col messaggio pubblicitario, il numero di spettatori che sono stati intercettati da un messaggio in tv e che sono andati direttamente sul sito. In questo caso si riesce a legare questi due aspetti, ripianificandoli.

Nel caso del media stacking, invece, cerchiamo di pianificare dei format che possano superare la distrazione legata all’uso di questi device. Visto che, infatti, questi device vengono utilizzati maggiormente durante la pubblicità per distrarsi dallo spot, cerchiamo di entrare dentro i programmi, con product placement oppure con sponsorizzazioni ad hoc.

 

In  quel caso, il brand diventando parte narrativa del programma attira in qualche modo l’attenzione dell’audience in maniera maggiore . Diventa il contenuto da guardare. E quasi spontaneamente poi le audience parleranno di quel contenuto.

Certo. Noi pubblicitari sappiamo benissimo che la pubblicità la vogliono saltare tutti in qualche modo. Non a caso un maggior utilizzo di questi device avviene durante la pubblicità. Quindi dobbiamo cercare un modo di legare questo consumo alla pubblicità stessa oppure cercare di uscire da quel blocco di contenuto pubblicitario ed entrare nel programma stesso.

 

Quali aspetti della ricerca sulle audience, oggi, diventano strategici per la pianificazione della comunicazione pubblicitaria?

Il tema più grande, che il mondo della ricerca non è ancora riuscito ad affrontare, è quello di seguire il consumo dei prodotti mediali su diversi device: la maggior parte delle ricerche sono monomediali. In realtà, ci sono già degli hub con ricerche orientate alla multimedialità ma il punto è che per essere multimediali e orizzontali, si perde in verticalità. Quando parliamo di mezzi come internet con tutte le sue applicazioni, se non hai la verticalità non hai la profondità; si produce una frammentazione. Questo è il difficile equilibrio che vivono le ricerche.

Dal punto di vista prettamente media a noi interessa moltissimo il tempo speso. Osservando i consumi televisivi ci accorgiamo che tante persone guardano la televisione, anche per un tempo prolungato, perché alla fine alcuni prodotti televisivi sono molto lunghi ed immersivi: una serie può durare da trenta minuti a un’ora, un film fino a due ore. In tutti questi casi, il consumo è verticale, ed il livello di ingaggio e di attenzione è molto profondo. Quando, invece, si utilizzano i second screen il consumo risulta più discontinuo: si usa un’applicazione, poi si torna indietro, oscillando continuamente tra tv ed altri device.

Anche a livello pubblicitario, il tempo d’esposizione è un concetto molto importante. Una cosa è essere esposti per un minuto o per trenta secondi a uno spot pubblicitario, un’altra ad un banner online che viene rapidamente chiuso: in questo caso la pubblicità viene contata come vista, ma in realtà non siamo riusciti a entrare in profondità. Ovviamente per  internet esistono altre metriche oltre a quelle di awareness, come per esempio le visite al sito. In altre parole, quando parliamo di awareness sicuramente dobbiamo riferirci al coinvolgimento e al tempo speso; quando invece parliamo di performance pura vanno prese in considerazione altre metriche come le vendite o le visite sul sito, come se gli utenti esposti alla pubblicità si fossero poi recati al punto vendita.

 

A proposito di orizzontalità, oggi si parla sempre più di declinazione transmediale della comunicazione. Che cosa significa per Omnicom Media Group il concetto di transmedialità?

Per Omnicom Media Group si traduce in un concetto chiaro: cercare di proporre il messaggio, il contenuto e il formato in modi diversi in base al dispositivo. Per esempio, nel caso della pubblicità online, abbiamo consigliato a un cliente di far montare lo spot diversamente, in modo tale che l’attore protagonista guardasse in camera e facesse una call-to-action a chi lo guardava. In questo era anche simpatico perché diceva “Non chiudere il banner. Ascoltami per un secondo”. Così, siamo riusciti a portare le persone che vedevano il video fino alla fine senza chiuderlo.

Il concetto di transmedialità si traduce anche in una diversa pianificazione. Ci sono mezzi che portano grande copertura ed altri che garantiscono frequenza. Quello che facciamo è cercare di fare delle grosse coperture con dei formati che possono raccontare delle storie, modificando poi il messaggio sui mezzi che fanno un po’ più di frequenza o che permettono di raggiungere utenti più giovani.

 

ANTHONY CARDAMONE – Head of Research Omnicom Media Group

ANTHONY CARDAMOREHead of Research di Omnicom Media Group, da oltre 10 anni nel settore delle ricerche sui mezzi di comunicazione, ha maturato una significativa esperienza nella rilevazione dei dati di ascolto e analisi e previsioni d’ascolto, in particolare televisivi. In passato ha svolto il ruolo di collaboratore di quotidiani nazionali nell’ambito dell’analisi di audience e trend televisivi

Membro del comitato tecnico di Auditel, in qualità di rappresentante di Assocomunicazione, associazioni delle imprese della comunicazione

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