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Speciale Super Bowl 2016, punto di incontro tra vecchia e nuova tv

Come ogni anno i brand si sfideranno per raggiungere, su ogni piattaforma, un'audience di quasi 200 Milioni di persone

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L’attesa è finita, poche ore ancora e le due squadre finaliste, Carolina Panthers e Denver Broncos, si contenderanno il titolo di campione NFL nel Super Bowl 2016. Il kick off è previsto per Domenica 7 Febbraio a S. Francisco, 15:30 ore locali (da noi saranno le 00:30 di lunedì 8, per i più temerari che volessero imbarcarsi in una lunga maratona lunga circa 3 ore, tra tempo effettivo di gioco, spot pubblicitari ed Halftime Show).

Il Super Bowl, a dire il vero, è un evento sentito soprattutto negli Stati Uniti; di certo coloro che qui in Europa, e ancor di più in Italia (dove si sa molti preferiscono la sfera all’ovale) si sintonizzeranno sui canali pay armati di lunghi “bibitoni” di caffè americano, saranno, presumibilmente, una minoranza. Tuttavia, il Super Bowl rappresenta l’evento, almeno per chi studia la televisione, le audience e il mercato pubblicitario. Questo per una lunga serie di motivi.

Il Super Bowl è uno dei fasti più lucenti dell’epoca d’oro della televisione “lineare”. Quel modello per cui c’è un broadcaster, c’è un programma e ci sono milioni di persone che si riuniscono per seguire quel programma; nella stessa ora, sullo stesso canale. In uno scenario in cui – tra binge-watching, timeshifting e on demand – le modalità di fruizione del contenuto si sono frammentate nel personcasting, un evento del genere assume ancora più valore. Basti pensare che la CBS, il broadcaster che trasmetterà la 50esima edizione, ha stimato che la finale sarà seguita in contemporanea da 190 Milioni di persone. È come se un paese tre volte più popolato dell’Italia, si sintonizzasse, nella sua totalità, su un singolo canale televisivo. Questo spiega perché 30 secondi di spot costano diversi milioni di dollari, ma riprenderò l’argomento più in là. C’è da aggiungere che per i grandi eventi sportivi la fruizione in diretta del contenuto non è una scelta, ma una necessità. A meno che non vogliate indossare gli occhiali speciali di Ted in una puntata di How I Met Your Mother: i magnifici Sensory Deprivator 5000, gli unici in grado di proteggerlo da qualsiasi spoiler sul risultato della gara.

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Il Super Bowl è dunque uno dei pochi programmi immuni alla tv anytime. Anche perché sarebbe veramente delittuoso perdersi tutto il chicchiericcio che si scatena a ridosso dell’evento sui social, prima, dopo e soprattutto durante il match. Nell’ edizione dello scorso anno, per esempio, in una manciata di ore gli utenti connessi da ogni parte del mondo hanno prodotto qualcosa come 28,4 Milioni di tweet, con diversi “epic moment” che hanno infuocato la partecipazione delle audience non solo durante lo svolgimento del match (quando Malcolm Butler, a 20 secondi dalla fine, ha intercettato il passaggio di Russell Willson, il “tweettometro” è schizzato a 395K tweet/minuto)  ma anche durante l’Halftime, condotto da Katy Perry e segnato dalla goffaggine dello squalo sul palco. D’altronde, non sono le chiacchiere da bar che si producono a ridosso di un evento, esse stesse l’evento? Che gusto c’è a guardare uno show del genere senza interagire, tra un’aletta di pollo e un’altra, con chi siede sul tuo stesso divano e con la platea, potenzialmente mondiale, che affolla i social media?

Se da una parte, dunque, il Super Bowl è l’ultimo feticcio della tv tradizionale e lineare, dall’altra è l’apoteosi della social tv perché spinge al parossismo le pratiche partecipative delle audience legate al second screening e alla produzione di social buzz. Ma a ben guardare, non sono solo le audience a giocare alla social tv, ma anche, se non soprattutto, i brand che cercano di infiltrarsi nelle conversazioni nei modi più creativi e naturali possibili. È ormai leggenda il tweet di Oreo, che in un certo senso ha segnato l’apertura del gran ballo del real time marketing, capace di sfruttare il black out raccogliendo quasi 16K RT con il suo simpatico invito “You can still dunk in the dark”.

oreo

C’è da scommettere che anche quest’anno la maggior parte dei brand allestiranno delle social media rooms dedicate, in cui analisti e creativi, pagati a peso d’oro (si stima dai 150 ai 500 dollari all’ora) si sfideranno per sfornare i contenuti più divertenti in linea con ciò che succede sul campo di gioco, intercettando l’audience su tutte le piattaforme in cui si affaccia. Tuttavia, rispetto alle edizioni del passato, l’insieme dei social media su cui le audience interagiscono mentre guardano la tv si è arricchito di nuovi tasselli. Ai tempi di Oreo, non c’erano molti dubbi: per gli eventi live i brand dovevano limitarsi a presidiare per lo più Twitter e non casualmente il real time marketing è nato con il nome di Twitterjacking. Oggi le possibilità si sono moltiplicate.

Facebook, proprio pochi giorni fa (guarda caso), ha lanciato Sports Stadium, uno specifico spazio all’interno della piattaforma dedicato agli eventi sportivi che permette di dialogare con la propria cerchia di amici e con gli influencer del settore. Ma, a prescindere da questa nuova funzione, che pure è destinata a mio avviso ad essere disruptive nel contesto della social tv, Facebook, con la sua platea di 1.59 Miliardi di utenti che consumano circa 100 Milioni di ore di video al giorno, è diventato un punto di riferimento imprescindibile per le attività di second screen delle audience e quindi anche per la comunicazione dei brand.

Rimanendo sempre in area Zuckerberg, anche Instagram in vista del Super Bowl si è rifatto il trucco, permettendo agli inserzionisti di creare video pubblicitari di 60” (in precedenza il limite era di 30”): T-Mobile, con la gentile partecipazione di Drake, ha subito sfruttato questa preziosa opportunità in ottica crossmediale creando, su Instagram, una versione estesa dello spot di 30” preparato per la televisione. Instagram, anche grazie alla disponibilità di dati e analytics condivisi con Facebook, è una delle piattaforme con le potenzialità di crescita più alte. La sfida più dura, in questo caso, si gioca sul terreno dell’autenticità: è molto più facile sembrare intrusivi e fuori luogo su Instagram che in altre piattaforme, dove la pubblicità è meglio tollerata. Forse l’estensione della durata a 60” è funzionale alla creazione di uno storytelling più articolato in grado di far sembrare la pubblicità, per l’appunto, meno invasiva e più naturale.

 

We’re in the #BigGame with @ChampagnePapi. #YouGotCarriered

Un video pubblicato da tmobile (@tmobile) in data:

Infine c’è la new entry Snapchat, su cui i brand ripongono le speranze di intercettare le audience più preziose e impalpabili, diciamo dai Millennials in giù. Quello tra Snapchat e NFL è stato un corteggiamento lungo durato un anno intero e culminato con la partnership ufficiale. In sintesi, i brand potranno inserire i loro video pubblicitari all’interno del Live Story prodotto durante il match. Rispetto all’edizione scorsa, quando Snapchat ha cercato di vendere l’intero live story ad un unico sponsor, i brand che investiranno in Snapchat per il Super Bowl di quest’anno saranno almeno quattro e tutti di grande rilevanza: Marriott, Amazon, Pepsi e Budweiser (curiosità: gli annunci della birra saranno mostrati solo ai maggiori di 21 anni). Snapchat è certamente il mezzo privilegiato per raggiungere i Millennials, tuttavia, rispetto a Facebook e Instagram, gli strumenti per la misurazione dell’efficacia delle pubblicità sono ancora molto grezzi e non hanno la stessa precisione di quelli dei competitor. È per questo che da inizio anno rimbalzano voci di possibili collaborazioni con partner quali Nielsen, Sizmek, Datalogic e Moat per superare questo “analytical divide”.

Come si è analizzato finora, le possibilità per i brand sono aumentate a dismisura. Molti hanno anche ironizzato chiedendosi se sia ancora il caso di spendere 5 Milioni di dollari per uno spot di 30 secondi in tv, quando c’è la possibilità di ottenere una visibilità altrettanto diffusa attraverso i social media, investendo solo un pugno di dollari rispetto a quanto chiesto quest’anno dalla CBS. In realtà la questione è molto più complicata di come appare e la risposta in questi casi, come spesso accade, è “dipende”. Dalla disponibilità economica, dagli obiettivi, dallo stile comunicativo, dai valori che si vogliono trasmettere, dall’audience che si vuole raggiungere. Per argomentare meglio la risposta può essere di grande aiuto la recente ricerca realizzata da Adobe Digital Index che ha studiato le abitudini delle audience durante la fruizione dei programmi sportivi (con un focus specifico, ovviamente, sul Super Bowl).

Uno dei risultati più interessanti della ricerca sta nel fatto che esattamente la metà dei Millennials guarderà il Super Bowl da un dispositivo connesso e quindi non tramite fruizione “tradizionale”.

sport everywhere
Fonte: Adobe Digital Index

Nello specifico, i Millennials utilizzano più di ogni altro gruppo analizzato i dispositivi mobili. Nel loro caso, un terzo dei video associabili al Super Bowl (sia pubblicità che contenuti relativi al match) viene fruito su mobile mentre circa il 37% è interessato a scaricare un’applicazione per fruire degli eventi sportivi.

mobile millennial
Fonte: Adobe Digital Index

Questo ha spinto la CBS, per la prima volta in assoluto (nel 2015 la pubblicità in tv è stata venduta separatamente da quella online), a trasmettere esattamente gli stessi spot pubblicitari tanto in televisione quanto in streaming, proprio per permettere ai brand di intercettare questa fascia di pubblico che non fruisce dei contenuti in modalità lineare.

Altro aspetto interessante è quello del second screening, ovvero l’utilizzo contemporaneo di un altro device che accompagna la fruizione televisiva. Che cosa fanno le audience con i loro smartphone e tablet mentre guardano il Super Bowl? Chi fa cosa?

second screen
Fonte: Adobe Digital Index

I più social in assoluto sono i Millennials e i Gen X. I primi, per esempio, hanno il 58% di possibilità in più, rispetto agli altri gruppi, di vedere una pubblicità sui social media prima dell’inizio del match.  Osservando, invece i Baby Boomers, si riscontrano indicazioni contrastanti: da una parte c’è chi utilizza il second screen per distrarsi dal match (controllare mail per esempio), dall’altra molti dimostrano di essere interessati ad utilizzare internet per cercare ulteriori informazioni su ciò che stanno guardando in tv. Tra di loro, infatti, ben il 24% utilizza il second screen per visualizzare statistiche e approfondimenti sui giocatori (per loro uno spazio come Sports Stadium potrebbe rappresentare il punto di ritrovo ideale, aggregando commenti divertenti e analisi tecniche svolte da giornalisti ed influencer).

Un’altra ricerca uscita sempre in occasione del Super Bowl  realizzata da Saleforce, fornisce altre indicazioni preziose per capire dove e come intercettare le audience di riferimento durante il match. Dall’analisi condotta su 1082 persone, è emerso che la finalissima 2016 sarà probabilmente la più social di sempre non solo per numero di interazioni ma anche per varietà delle piattaforme utilizzate, come accennato in precedenza. È interessante osservare, in particolare, l’utilizzo dei social media incrociato con la variabile del genere: le donne preferiscono Facebook e Instagram, gli uomini Twitter e Youtube. Inoltre, diversamente da quello che avviene qui in Italia per il calcio, il Super Bowl ha un grosso appeal nei confronti delle donne che addirittura hanno il doppio delle probabilità rispetto agli uomini di pubblicare post e aggiornamenti sul match o sugli spot collegati.

uomini e donne
Fonte: Saleforce Research

Considerando la totalità del campione, Snapchat colleziona in media il 16% delle preferenze posizionandosi quarto dopo Facebook (65%), Twitter (25%) e instagram (18%). Tuttavia, focalizzandosi solo sulla fascia 18-24, Snapchat risale fino al secondo posto con ben il 31% delle preferenze.

social per età
Fonte: Saleforce Research

Questo spiega perché brand importanti quali Marriott, Amazon, Pepsi e Budweiser hanno investito in questa piattaforma, nonostante le difficoltà evidenziate nel reparto insights e analytics.

Tornando alla provocazione posta qualche paragrafo fa riguardo la convenienza di investire 5 Milioni di Dollari per uno spot, quando in ogni caso tre quarti dell’audience si troverà anche sui social media, viene da pensare che forse si pone la questione in modo sbagliato. Infatti, in un ecosistema mediale ormai segnato dalla moltiplicazione degli schermi e dall’esperienza di fruizione che si espande su più piattaforme, non ha senso scindere l’audience televisiva da quella di internet e dei social media. Forse la dimostrazione più evidente, in questo senso, sta nella correlazione esistente tra presenza dello spot in tv e buzz prodotto sui social media: lo scorso anno, gli spot che sono andati in onda in tv hanno ottenuto un social buzz cinque volte maggiore rispetto ai brand non presenti in tv. Il buzz, inoltre, non si è limitato al giorno dell’evento, ma si è protratto fino a 25 giorni dopo la finale.

Quest’ultimo dato, in fondo, racchiude l’essenza stessa del Super Bowl: fasto glorioso della tv tradizionale e, al contempo, avanguardia della social tv.

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